Moriva ieri 7 febbraio la scrittrice, poetessa e cineasta algerina Assia Djebar, uno dei nomi più importanti tra tutti gli scrittori francofoni del Magreb.
Nata sotto il nome di Fatma Zohra Imalayène a Cherchell, in Algeria, si è spenta in un ospedale parigino all’età di 78 anni, dopo aver scritto alcuni tra i più bei libri di narrativa al mondo come Donne d`Algeri nei loro appartamenti, Lontano da Medina, Figlie di Ismaele, Vasta è la prigione, Bianco d`Algeria, Le notti di Strasburgo, Ombra sultana, La donna senza sepoltura.
L’opera di Assia Djebar è dedicata in gran parte all’emancipazione della donna, alla storia, all’Algeria vista attraverso la violenza e le sue lingue ed è nota e militante la sua partecipazione alla guerra di liberazione algerina, a fianco di Frantz Fanon.
Tra i suoi film più toccanti La Nouba des femmes du Mont Chenoua, pellicola in bianco e nero vincitrice del Premio Internazionale della Critica al Festival di Venezia nel 1979 e La Zerda et les Chants de l’oubli premiato al Festival di Berlino nel 1983 come migliore film storico.
Nel 1955 è stata la prima donna musulmana e algerina ad entrare all’École Normale Supérieure de jeunes filles a Sèvres in Francia dove ha scelto l’indirizzo storico e proprio questo periodo vede nascere il suo primo romanzo, La Soif (La Sete). E’ questo il momento in cui sceglie il suo nome d’arte, Assia (colei che consola) Djebar (l’intransigente).
A partire dagli anni ’80 Assia Djebar alterna la sua residenza francese con soggiorni in Louisiana e a New York, dove prosegue la sua carriera universitaria iniziata in Algeria presso la facoltà di Lettere con la cattedra di Storia del Nord Africa, insegnando alla New York University e dove dirige il Center for French and Francophone Studies.
“Scrivo dunque, e in francese”, diceva Assia Djebar, “la lingua degli antichi colonizzatori, che è tuttavia diventata irreversibilmente quella del mio pensiero, mentre continuo ad amare, soffrire e anche pregare in arabo, la mia lingua madre”.
E’ stata anche la prima donna araba a far parte dell’Accademia di Francia nel 2006. Ecco un estratto del suo discorso di insediamento: “Signori e Signore, il colonialismo vissuto un tempo quotidianamente dai nostri antenati, almeno di quattro generazioni, è stato un’immensa ferita! Una ferita di cui alcuni hanno recentemente riaperto la memoria, con troppa leggerezza e per un irrilevante mossa elettorale“.
Fonti:
- Il Manifesto
- Il Fatto Quotidiano
- El Watan
- Le Monde