Che gli Ekhtelaf, tre giovani arrivati in Italia dall’Afghanistan, facciano musica è certo, ma guai a dire che la loro è solo musica. Dopo mesi di viaggio, in esilio dalla loro terra, Habib, Hussein e Haris non si considerano un semplice gruppo, piuttosto un movimento con un preciso intento: denunciare le violenze del loro paese e costruire una nuova idea di Afghanistan. Lo dicono nei testi dello loro canzoni, che parlano delle divisioni politiche che ci sono nel paese, ma anche delle distorsioni dell’islam e del concetto stesso di jihad, un tempo simbolo di fratellanza: “jihad significa aiutare il prossimo e insieme costruire il paese, jihad è una pioggia di libertà”.
In Italia i ragazzi sono arrivati dopo un viaggio lungo sei mesi. Dovevano raggiungere la Danimarca, ma le regole ferree del regolamento Dublino li hanno rispediti indietro, in Italia. Qui si sono rifugiati nei capannoni abbandonati del Porto vecchio di Trieste, da sempre meta di profughi afgani, e oggi teatro del loro primo videoclip del singolo Bazicheh, letteralmente “giocattolo”.
“Le nostre sono canzoni di impegno politico – spiega Habib- quello che vogliamo raccontare è la vera storia dell’Afghanistan e del nostro popolo. Ma anche denunciare quali sono i problemi che oggi attanagliano il paese e che, sei anni fa, ci hanno costretto ad andare via”. L’appello è all’unità del paese, a superare la divisione tra gruppi etnici, “non siamo pasthon, tagiki o hazara, siamo afghani” spiegano. “Quando potremo tornare in Afghanistan – si chiedono ancora nel testo del loro primo singolo – quando finirà questo nostro viaggio forzato?”.
FONTE: www.improntalaquila.org